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Ventitreesima domenica del tempo ordinario

dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
(Lc. 14, 25-33)

Seguire Gesù, secondo le parole che ci dice oggi non sembra davvero una cosa possibile. O peggio ancora, esse di primo acchito ci sembrano incomprensibili. Papà, mamma, figli, fratelli, sorelle… Ma queste persone sono la nostra carne, il nostro sangue. Questo naturalmente genera un coinvolgimento emotivo fortissimo e quindi un amore viscerale, impossibile da superare. E per Dio, per il Signore? Naturalmente noi crediamo, ma fisicamente non abbiamo nessuna esperienza di vita, nessun contatto diretto con loro e quindi pur avendo amore è qualcosa di sbiadito e di ben lontano da ciò che proviamo per i nostri cari. Ci dice ancora (e questo è davvero al di la di ogni più sfrenata fantasia) che dobbiamo amarlo più della nostra stessa vita. Ma questa vita è tutto ciò che noi siamo, amare noi stessi è qualcosa di istintivo ed irrinunciabile; tutto ruota intorno a questo “ego”, dal quale non possiamo staccarci mai, se non per una malattia mentale. Vero è che c’è una minoranza infinitesimale di persone che facendosi monaci, rinunciano a buona parte delle cose che il Signore dice, ma certamente non dimenticano le persone amate. Poi offrono la propria vita nella obbedienza ad un superiore. Pure in questa vita scelta da pochissimi, c’è ancora una notevole distanza da quello che ci viene detto.

Dunque non siamo tuoi discepoli? Non c’è per noi possibilità di salvezza? Mi ha dato un’idea la vignetta che ho scelto. C’è un treno che corre e che si chiama vita. Dietro corre un ragazzo che per raggiungere la mano che Cristo gli tende, si libera da tutti i pesi che porta. Forse il Signore ci dice proprio questo: nella nostra vita, progressivamente dobbiamo accettare di essere spogliati di tutto. Si parte da papà e mamma che normalmente ci lasciano per primi. Poi i figli. Dio non voglia che ce li prenda fisicamente! Sarebbe la sofferenza più atroce, la più grande che si possa umanamente provare. Però, anche quando questo non succede, quanto dolore nel vedere che si allontanano da noi per seguire la propria strada! Uno strazio che cerchiamo di mascherare con un sorriso, ma che ci lascia dentro per sempre un vuoto incolmabile. E la nostra vita poi? La vecchiaia e peggio ancora la malattia, sono stagioni scomode che progressivamente ci svuotano di forze e ci fanno regredire ad uno stato quasi infantile. Solo che nella nostra mente (almeno in qualche barlume di lucidità) abbiamo il ricordo di ciò che eravamo e la consapevolezza dello stato in cui siamo ridotti. Accettare questo forse è amare Dio più di ogni persona, cosa, o della nostra stessa vita.

Le parole che derivano da queste considerazioni sono che dobbiamo andare dietro a Gesù, portando la nostra croce ogni giorno. Naturalmente gli chiediamo di essere liberati dal male, ma sappiamo che ogni giorno ha la sua pena. Spesso si tratta di piccoli fastidi, ma a volte ci sono dei periodi che sono davvero impossibili. E per di più questi tempi di sofferenza sembrano eterni. Infatti mentre le giornate buone passano in un soffio, quelle con la croce pesante sulle spalle sembrano non finire mai. Svegliandoci ogni mattina chiediamo al Signore che la nostra croce quotidiana sia leggera. E quando è pesante, magari dopo qualche imprecazione, chiediamogli la forza di arrancare ugualmente. Sostenuti dalla sua forza naturalmente!

Le parole del Signore terminano oggi con due parabole. Quella di chi vuole costruire una torre. Deve calcolare bene se ha i mezzi per farlo, per non lasciare la torre…a metà. Le cose incompiute sono sempre uno squallore che ci parla della incapacità di calcolare le nostre forze. La seconda insegna la stessa cosa. Il re che vuol fare la guerra al suo vicino se si rende conto che il nemico ha il doppio delle sue armate è meglio che tratti la pace piuttosto che andare incontro ad una sonora sconfitta. Essere cristiani, andare dietro a Gesù non è una impresa facile, perché questo seguire lui è una lotta. Badate bene! Non contro nemici esterni, ma contro ciò che esce dal nostro cuore: impurità, furti, adulteri, avidità, malvagità, invidia, calunnia, superbia, stoltezza… E’ l’elenco che il vangelo di Matteo ci propone e sono i veri nemici che ogni giorno dobbiamo affrontare. E sono forti, non è vero? E ogni giorno rinascono: non riusciamo mai a vincerli del tutto.