Dal Vangelo secondo Luca:
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo
(Lc.3, 10 -18)
Che cosa dobbiamo fare? Intorno a Giovanni, là nel Giordano, c’era un mare di gente e si vede che, per porre questa domanda, non avevano perduto nemmeno una sola parola dei suoi discorsi. Il Battista era davvero un profeta ispirato ed efficace, perché aveva toccato profondamente il cuore di chi si era fatto battezzare. Tra tutta quella gente c’erano anche molti che appartenevano a categorie le più improbabili da trovare vicino a Giovanni. I pubblicani ad esempio. Erano gli odiati esattori di tasse a nome dei conquistatori romani. Questi infatti non si sporcavano le mani per esigere il tributo; in ogni paese loro richiedevano a gente del posto di versare una cifra stabilita in proporzione al numero degli abitanti e poi lasciavano ad essi carta bianca. Il capo dei pubblicani dunque si dotava di un piccolo corpo militare e poi spennava i suoi polli arricchendosi a dismisura. Ricordiamo Zaccheo, appunto uno della congrega, che dice a Gesù che darà meta della sua ricchezza ai poveri e restituirà a quelli che ha derubato quattro volte tanto. Segno evidente che doveva essere ricchissimo. Erano dunque odiati da tutti non solo perché collaboratori degli invasori, ma anche perché in pratica erano degli esosi strozzini. Comprendiamo bene ciò che Giovanni dice loro di fare: “Non esigete nulla di più di ciò che è stato fissato”.
Un’altra categoria di gente che non doveva essere li erano naturalmente i soldati. Essi erano in pratica erano il braccio armato dei conquistatori che impedivano ogni sussulto di libertà, oppure dei bravacci assoldati dai piccoli potenti locali. In entrambi i casi, con la forza delle loro armi, opprimevano chiunque si parasse loro davanti. Nemmeno ad essi Giovanni dice di cambiare mestiere, ma li invita a non maltrattare e a non estorcere niente a nessuno, ma di accontentarsi delle loro paghe.
Adesso dobbiamo pensare a noi gente comune che ha ascoltato in queste due settimane le esortazioni di Giovanni. Noi come le folle di allora gli chiediamo: ”Che cosa dobbiamo fare?” la risposta sembra cucita apposta al nostro freddo inverno: “Se hai due vestiti, danne uno a chi non ce l’ha”. Due vestiti? Ma noi abbiamo degli armadi pieni di vestiti! E siccome la moda continua a cambiare per spingerci a spendere, dobbiamo periodicamente fare un repulisti buttando via anche roba che non abbiamo messo mai. Nella sostanza Giovanni ci dice una cosa che ripetiamo spesso: essere attenti ai poveri che sono intorno a noi. Naturalmente non soltanto con la monetina data distrattamente, ma con una vicinanza amichevole al povero che incontriamo. A volte un saluto, un interessamento sincero scambiando due parole, sono più importanti di ciò che possiamo dare materialmente. Il vecchio o il misero che ci sta davanti ha bisogno prima di tutto di un briciolo di dignità. Il dargli la nostra considerazione serve appunto a questo.
Non posso adesso fare a meno di un messaggio che ci viene sia dalla prima che dalla seconda lettura. “Gioisci, figlia di Sion! Grida di gioia Israele… Il Signore è in mezzo a te. Tu non temerai più nessuna sventura”. Così ci dice il profeta Isaia e san Paolo nella seconda lettura insiste: “Siate sempre lieti, ve lo ripeto, siate lieti: il Signore è vicino. Non angustiatevi per nulla.” Abbiamo motivo di essere nella gioia?
Nel tempo che viviamo, lo abbiamo ripetuto spesso nei giorni passati, non ci sono spunti luminosi di speranza, ma essa viene da altri fattori. Scoprire che siamo ancora insieme prima di tutto e che davanti al presepe in casa nostra ci ritroviamo diversi. Oggi alla messa delle 11 benediciamo i “bambinelli” che poi metteremo doverosamente tra Maria e Giuseppe, senza dimenticare il bue e l’asinello. Non sarà una regressione verso un infantilismo illusorio. Sarà invece uno scoprire che possiamo amarci di più, che possiamo essere più comprensivi e pazienti, che con un poco di impegno, possiamo veramente cambiare l’atmosfera del nostro cuore. Opera nostra? No! E’ lui quel piccolo, benedetto Bambino, che viene in casa nostra.