Dal Vangelo secondo Marco:
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Uno scriba buono ed amico di Gesù? Sì, il Vangelo di oggi ci riserva questa sorpresa. Dure sono le invettive di Gesù contro gli scribi ed i farisei. Li chiama ipocriti, sepolcri imbiancati, capaci di osservare tutte le minuzie della legge ebraica e poi capaci di divorare i beni degli orfani e delle vedove, ma il Signore non fa mai di ogni erba un fascio. Lui parla soprattutto contro lo spirito farisaico, ma poi accoglie con amicizia il fariseo Nicodemo che va da lui di notte. Oggi invece, a questo scriba, che gli pone il problema di quale sia il più grande dei comandamenti, dice che non è lontano dal regno di Dio. Volete che accogliamo la prima lezione di oggi? Al di là delle simpatie o antipatie sappiamo giudicare le persone per quello che sono e fanno. Non squalifichiamo mai le categorie totalmente: gli stranieri, quelli di questa parte politica o dell’altra, i preti, la chiesa. In ogni categoria di persone ci possono essere delle persone oneste e dei farabutti. Questo modi di giudicare le persone singole per quello che fanno non sarà per caso il più primitivo modo di amare il nostro prossimo?
E adesso veniamo alla sostanza del vangelo di oggi. Viene richiesto a Gesù quale sia il comandamento più grande. Ma in sostanza i comandamenti importanti sembrano due e non uno soltanto. Superiamo l’ostacolo dicendo che amare Dio e il prossimo formano un “unicum”; uno non può esistere senza l’altro. Ce lo diceva già l’apostolo nella sua lettera: “Come puoi dire di amare Dio che non vedi se non ami il prossimo che vedi?” La fede ci chiede di amare Dio, ma la sostanza di questo amore per lui si riversa poi su noi stessi e sulle persone che incontriamo.
Eccoci dunque, partendo da questo unico comandamento, che le messe che sentiamo, il culto che celebriamo, le preghiere ed i sacrifici che offriamo a Dio rischiano di essere insufficienti se non sono collegate all’amore verso i fratelli. Questo amore non deve essere dimostrato con gesti sporadici e straordinari, ma deve realizzarsi nella concretezza delle nostre relazioni quotidiane. Siamo dunque chiamati a questa unità di amore partendo dal rapporto verso noi stessi. E’ necessario, illuminati dallo Spirito, armonizzare le istanze del nostro corpo, della nostra anima e di tutto noi stessi in un’unica voce che si innalza verso il Padre. E’ necessario essere riconoscenti della nostra situazione fisica, di salute o di malattia, di vigore o di sfinimento, di giovinezza o di vecchiaia sapendo che la vita è in ogni giorno ed in ogni situazione un immenso dono suo.
Siamo poi chiamati ad essere uniti nell’amore all’interno delle nostre famiglie. Sappiamo troppo bene quanto sia ferito l’amore degli sposi nella mancanza di rispetto verso l’altro, negli atti di violenza, negli atti di separazione. Sappiamo la difficoltà di rapporto tra genitori e figli, quando non sono più piccoli da tenere in braccio, ma sembrano allontanarsi in modo irreparabile da tutto ciò che noi abbiamo insegnato e creduto. Siamo qui in chiesa per imparare ad amarci meglio nella sopportazione, nella disponibilità, nel tentativo ne tentativo di continuare ad amarci, nonostante le troppe grandi delusioni che abbiamo davanti agli occhi. Intorno a noi (e magari nella nostra casa) vediamo famiglie così dette allargate, con bambini che passano dalla madre naturale al papà che si è rifatta una nuova famiglia, nei giorni stabiliti dal giudice. Impossibile amare tutti con equilibrio ed accettazione? Eppure questo è amare il prossimo e quindi Dio. Siamo qui in chiesa per chiedere che il Signore ci conceda di amarlo in queste relazioni disastrose che pure sono quelle di casa nostra.
Infine noi dobbiamo amare questa nostra società e questo nostro tempo; essi infatti sono il dono del Padre per noi. Non viviamo in tempi idilliaci. Abbiamo situazioni di benessere materiale, impensabili anche solo cento anni fa. Però viviamo in una frantumazione sconcertante dove tutti sono contro tutti, dove non esistono più principi e regole da rispettare, dove l’amore è abolito perché si è abolito Dio. Noi che crediamo in lui dobbiamo amarlo ed annunciarlo in mezzo a questo guazzabuglio impossibile. E questo comandamento lo dobbiamo vivere ogni giorno, convinti che questo è amare, servire e testimoniare il nostro Dio.
Come fare? Semplicemente cercando di vivere le sue parole.