CRISI UCRAINA
EMERGENZA COVID-19

NOTIZIE e APPROFONDIMENTI

Quindicesima domenica del tempo ordinario

Omelia 15_07_18

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

(Mc 6, 7 – 13)

Prima li ha chiamati, poi li ha formati e adesso li manda. Tutto semplice, no? Invece, lunedì di fronte a questo Vangelo ho avuto momenti di panico, perché non sapevo che cosa vi avrei detto. Infatti non riuscivo a trovare cosa dirvi. Che noi credenti siamo il segno più importante della presenza di Gesù nel mondo, come suoi profeti, è qualcosa che diciamo spesso. L’ultima volta, mi pare due domeniche fa. Ripetere ancora queste cose mi sembra inopportuno. Poi lo Spirito Santo mi ha suggerito di guardare meglio. Infatti il brano di oggi, riguarda il “come”ed il “cosa” noi dobbiamo fare per annunciare Gesù; e questo forse lo abbiamo visto molto meno, pur essendo fondamentale.

“Prese a mandarli due a due e dava loro il potere sugli spiriti impuri”. La prima sottolineatura è che il Signore non ci manda soli, ma due a due cioè in comunità. Lasciando perdere la precisione del numero, noi dobbiamo agire come comunità. Già abbiamo detto che i profeti più importanti della fede sono i genitori e qui è fondamentale che agiscano in coppia. Questo è un principio fondamentale non solo per la fede, ma per tutta l’opera educativa. Altrimenti, se l’accordo manca, addio educazione. Si finisce per lasciare nei figli il disorientamento più completo. Naturalmente tutti noi credenti dobbiamo agire sentendoci sempre comunità. Dobbiamo sostenerci con la preghiera, con il consiglio e quando è il caso con una collaborazione generosa e cordiale. E’ infine essenziale che noi non ci sentiamo mai soli di fronte alle difficoltà impreviste e gravi che sempre ci sono il potere sul male ci è dato da quella che si chiama “grazia di stato”. Si tratta di una conseguenza della nostra vocazione. Il Signore che ci chiede di fare certe cose, ci da anche la forza di farle bene.

Cosa significano le parole che ci dicono di non preoccuparci del pane e del denaro nella cintura, il portafoglio di allora? Questo è un insegnamento essenziale per essere testimoni efficaci della nostra fede e spesso il meno osservato. Infatti siamo abituati a progettare con la massima precisione possibile ciò che vogliamo raggiungere; poi pensiamo ai soldi perché “senza l’argento non si fa la guerra”; poi cerchiamo le persone adatte. Infine con tutto questo armamentario ci troviamo spesso e volentieri di fronte a fiaschi monumentali. E naturalmente ci scoraggiamo e diciamo che non c’è niente da fare e possiamo rinunciare, intanto nessuno ci ascolta. Dove sta lo sbaglio che causa questi fallimenti e la nostra rinuncia?

In un fatto semplicissimo! Nel nostro agire noi ci poniamo come protagonisti unici, contando soltanto sulle nostre forze e sulle nostre capacità. Dimentichiamo che noi siamo soltanto dei servi che Dio chiama per essere suoi strumenti. Non siamo noi i protagonisti della nostra attività. Per di più lui spesso scherza, perché siamo servi “inutili”; infatti molti altri avrebbero capacità notevolmente migliori delle nostre per fare ciò che ci chiede. Il Signore tuttavia manda noi, magari incapaci, perché sia evidente che il risultato è suo e non nostro. Naturalmente questo non significa che noi dobbiamo fare niente seduti in panciolle e facendo girare i pollici! Ci impegneremo sempre al massimo, con tutto ciò che noi siamo ed abbiamo, ma consapevoli che il risultato è suo e non nostro.

Il risultato sarà sempre positivo? Manco per idea! Non crediamo in Gesù, specialista nei fallimenti. Tutta la sua meravigliosa opera di maestro e di operatore di miracoli termina con la sua morte in croce, solo come un cane. E finisce così? No, perché di lì viene la vittoria più impensata: con la morte distrugge la morte e proclama la risurrezione. Ecco le parole che ci predicono una carriera simile alla sua: “Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi”.

Sapete una cosa? Vi ho detto all’inizio che il Vangelo di oggi mi sembrava arido e pensavo di ripetervi per l’ennesima volta le stesse cose. Invece, scherzetto dello Spirito Santo, adesso questa pagina mi sembra che contenga il… segreto della felicità. Provate a pensarci! Il Signore ci da la vita e dei talenti. Non importa se sono tanti o pochi. L’importante è che noi non li nascondiamo sotto terra, ma che li traffichiamo con tutte le nostre forze. Verranno fallimenti e delusioni? Non fa niente. Noi continuiamo a trafficarli, fino a quando lui verrà e ci chiederà i conti. Noi gli diremo: “Signore, mi hai dato cinque talenti. Li ho trafficati sempre. Eccone altri cinque…” Raddoppiati addirittura? Forse i primi a stupirci saremo noi stessi, perché quel risultato è suo, non nostro. Noi abbiamo solo trafficato fino alla fine.