Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando
(Mc 6, 1 – 6)
Proprio vero! Nessuno è profeta in patria. È sapienza antica come vedete e forse risale agli albori della umanità. Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù oramai circondato da una fama di maestro che insegna con autorità; poi di guaritore che compie miracoli con gli ammalati. Nella scorsa domenica lo abbiamo visto far risuscitare una ragazzina che era morta. Come un incendio questi eventi passano di bocca in bocca e divampano come un fuoco inarrestabile. Per quale motivo gli viene in mente di ritornare a Nazareth? Nostalgia? Voglia di rivedere con occhi nuovi l’ambiente in cui era vissuto per trenta anni? La voglia di rivedere la sua casa ed i suoi? Forse una mescolanza di tutte queste cose e di altre ancora.
Sta di fatto che quel sabato entra nella sinagoga dove era andato sempre e si alza ad insegnare. E qui succede un fatto imprevisto: la sua gente lo guarda prima stupita, poi incredula. Non può essere! Quello è il figlio di Giuseppe, il falegname e di lui sanno tutto, vita, virtù e miracoli. Dunque non può essere quello di cui si sente dire tante meraviglie e si scandalizzano di lui. Lo rifiutano ed anche Gesù si stupisce e le sue potenze restano bloccate; guarisce solo alcuni malati e poi se ne va altrove.
Su che cosa possiamo fermarci oggi? C’è una parola che ricorre due volte e che ha catturato la mia curiosità. Si tratta della parola “stupore”. Lo stupore, diceva uno dei saggi più grandi della antichità, è l’inizio della conoscenza. O meglio di ogni conoscenza ed anche della fede. L’uomo di fronte alla realtà spalanca i suoi occhi e la sua mente ogni volta che si trova di fronte a qualcosa di meraviglioso o anche semplicemente di nuovo. E se ne stupisce. Poi indaga, ragiona e si decide: accogli o…rifiuta. Molte pagine del Vangelo ci parlano di stupore di fronte a Gesù. Ben prima degli abitanti di Nazareth si stupiscono Maria e Giuseppe; poi Giovanni battista, gli apostoli ed infine la folla intera: “Nessuno parla come lui”, “Nessuno compie opere come le sue”.
Ma perché da questa scintilla di interesse si passa al rifiuto e lo stupore si trasforma in chiusura? Le ragioni sono tante. Disattenzione e disinteresse: pensiamo al seme caduto sulle pietre, che genera entusiasmo immediato, ma poi secca perché non ha sostanza. Rifiuto del nuovo in nome di ciò che già sappiamo: è da quando ero un bambino che sento questo Vangelo e lo so a memoria. Il rifiuto del cammino scomodo (la conversione!) che la verità scoperta ci richiederebbe. L’attaccamento ai propri interessi: pensiamo al bravo ragazzo che vorrebbe seguire Gesù, ma se ne va triste perché troppo attaccato alle sue ricchezze. Forse però al di là di tutte queste valide cause, lo scandalo del rifiuto è scritto in quel dono divino della libertà che Dio si impone di mai prevaricare. Quello che è certo è che dallo scandalo e dal rifiuto non sono esclusi i “suoi”, quelli della sua patria, della sua casa: si, noi cristiani.
Visto questo pericolo che ci minaccia e che a volte cogliamo come una tentazione, chiediamoci: come possiamo conservare nel nostro cuore una meraviglia intatta di fronte a questo nostro Dio infinito? Un aiuto essenziale è sempre una profonda attenzione alla sua parola. Possiamo anche saperla meccanicamente a memoria, ma dobbiamo sforzarci di sopprimere il “meccanicamente” per dirci che essa è un dono che mi arriva qui e adesso. La mia vita di oggi non è quella di ieri e tanto meno quella di decine di anni fa. Oggi Dio mi fa il regalo di questa parola perché essa illumini il mio oggi, lo illumini ed in qualche modo lo “ringiovanisca”, lo rinnovi. Il secondo aiuto fondamentale è ancora e sempre la parola di Dio, ma non quella scritta, bensì quella data dagli eventi che la giornata mi presenta. Sì, ogni giorno non è mai uguale ad un altro, ma il mutare delle cose, delle situazioni storiche e di conseguenza dei miei stati d’animo, si schiudono nella mia mente in un caleidoscopio mirabile di novità e di meraviglia. Naturalmente non si tratta sempre di eventi positivi. Ci sono nei nostri giorni anche sorprese amare, che istintivamente generano in noi rifiuto e paura. Dopo il primo momento di apprensione e di un conseguente tentativo di sopprimerli, chiediamoci invece: “Che novità mi porti, Signore? Cosa mi vuoi far capire? Dove mi vuoi portare?”
Naturalmente certi processi di questo tipo non durano qualche ora, ma a volte sono dei veri (e scomodi!) cambi di stagione della nostra vita. Già, nella nostra vita le stagioni non sono quattro, ma… cinque. Oltre l’inverno che segna il nostro tramonto, c’è la nostra divinizzazione nella risurrezione, l’ultima ed infinita stagione che ci immergerà nel mistero di Dio per sempre.